Tifosi
10 anni di tifo incondizionato: buon compleanno Baraonda Biancorossa
Il 14 febbraio 2009 vedeva per la prima volta la luce la Baraonda Biancorossa. E in questi 10 anni non ha mai fatto mancare il sostegno alla propria squadra
Una carrellata di coreografie che basterebbero per allestire una mostra sui murales formato curva. Centinaia di chilometri su e giù per lo Stivale dei canestri, ora trascinandosi dietro folle oceaniche, ora ritrovandosi “in quattro” (come recita un vecchio coro da curva) dietro a quello striscione sempre presente là dove in campo c’è una maglia con gli scacchi biancorossi. Le candeline sulla torta sono 10, ma i numeri del decennio di marchio baraondino sulla curva Pistoia del PalaCarrrara sono davvero importanti. Sarà che come dice senza nascondere l’orgoglio Federico Leporatti “a parte le storiche Brigate Arancioni” pezzo di storia del tifo calcistico con i loro 17 anni di passione in curva Nord “nessun altro gruppo in città ha scavallato il decennio di vita”. Sarà che dal San Valentino del 2009, quando fu fondata la Baraonda Biancorossa che esordì sulla balaustra della Curva Pistoia il giorno seguente, il basket ha vissuto anni incredibili. Un’escalation che ha portato alla conquista dell’A1 e alle tre partecipazioni ai playoff (più una alla Coppa Italia) in cinque anni. “Ma quando iniziammo noi le galoppate dovevano venire” dice Leporatti, fondatore e “ugola” storica della Baraonda che si trova a festeggiare un traguardo importante, in un momento difficilissimo per il Pistoia Basket ultimo in classifica e in piena crisi sentimentale col popolo biancorosso in netto calo.
Come nella parte discendente di un’otto volante che dopo aver raggiunto l’apice, scende. Ma prima o poi, speriamo, risale. Come successo proprio dopo la nascita della Baraonda, che ha iniziato a sventolare il suo bandierone in una domenica di febbraio con la squadra (al secondo anno di Legadue) ultima in classifica, fresca di cambio di coach (Moretti per Lasi) e senza tifo organizzato. Con lo spettro di una curva vuota e silente dopo lo scioglimento qualche settimana prima dei Red Devils, il gruppo (ultras) nato con la seconda vita dei canestri pistoiesi con cui ha salito i primi due gradini verso il ritorno in paradiso con l’ascesa dalla B2 alla Legadue.
“Ci ritrovammo io ed altri tifosi- continua Leporatti- che avevano voglia di sostenere la squadra, ultima come ora, che non volevano vedere un palazzetto senza tifo e cercammo di coinvolgere anche altre persone che non avevano mai fatto parte della tifosera organizzata. C’erano due gare in casa, Scafati e Casale Monferrato: ci mettemmo in curva e ricominciammo a cantare. La squadra vinse entrambe le partite e ripartì la corsa salvezza. Da lì è stata una doppia escalation, in campo e fuori. La squadra andava bene, salvezze tranquille passando per i playoff, niente a che fare con quello che è stato dopo ma intanto la curva cominciava a rinfoltirsi di giovani e non solo per i riusltati ma per l’ambiente che si era creato”.
Dieci anni in un crescendo di colori e decibel, in linea con il nome scelto dal gruppo. “La Baraonda nello slang toscano- continua– dà l’idea di quello che volevamo essere: confusione, goliardia e voglia di divertirsi. Un nome nuovo nel tifo italiano, come nuovo era il modo in cui volevamo e vogliamo esprimere la nostra passione per la squadra e la nostra città”.
Una proposta nuova ma senza dimenticare il passato, visto che nel repertorio canoro della Baraonda spiccano le “hit” dei pionieristici Redskins e l’effetto scenico di coreografie gigantesche che hanno contraddistinto l’era Untocheables e quella dei diavoli rossi. Toppo, Moretti e Maltinti scolpiti nel monte Rushmore come i presidenti americani, i graffiti dei giocatori che pendono sulla curva, la gigantografia per il ritorno del grande Teo Bertolazzi alla prima da avversario. E poi la coreografia quella per il ritorno in serie A, la festa per lo scudetto dell’Under 17 e quelle in movimento con il pulmino Baraonda o gli stessi tifosi che spuntano. “La coreografia a cui sono più legato- dice il presidente della Baraonda- è quella della gara contro Reggio Emilia, nel marzo 2012, con la scritta “AndiAmoci” a coinvolgere tutto il palazzo. Rompemmo ufficialmente un tabù, nessuno voleva parlare di serie A. Quell’anno arrivammo a giocarci la promozione con Brindisi anche se poi l’A1 arrivò l’anno dopo”.
Poi ci sono i messaggi più o meno in codice ai sempre presenti cugini termali. Passando per compleanni, ricordi, dediche fino al primo sciopero del tifo baraondino di un mese fa. Gara contro Varese, 5′ di silenzio e poi via, uno dietro l’altro, ecco interrogativi al pepe alla società su presente e futuro, compreso il tema “palazzetto” che ha spaccato la città (e la politica) e che per mesi aveva visto Baraonda e resto dei tifosi remare a fianco della società.
La festa iniziata con la catena di auguri sui social (tra gli altri quelli dell’ex capitano Moore e dei gemellati di Torino) proseguirà in due momenti: sabato sera in discoteca e domenica 24 al circolo di Capostrada. “Speriamo di essere in tanti- dice leporatti- speriamo che molti vogliano festeggiare con noi, anche chi è fuori dal nostro gruppo. In questi anni abbiamo cercato di coinvolgere tutti, a volte ci siamo riusciti, a volte no”.
Ora più che mai, con il PalaCarrara in fondo alle presenze del girone d’andata, c’è bisogno di una scossa, anche da parte del tifo . “Da una parte la società non è riuscita a mantenere il tesoro a livello di pubblico- chiude Leporatti- non riuscendo a raccontare all’esterno il lavoro che fa per gettare le basi per il futuro. Dall’altra un paio di annate non esaltanti hanno allontanato gli occasionali che ci sono sempre: noi continuamo ad impegnarci per ottenere quell’attaccamento a squadra e città che va oltre i risultati, aprendoci a tutti come abbiamo sempre fatto. Spingendo anche i tifosi a tornare a tirar fuori quella grinta necessaria a combattere per la serie A, che per Pistoia è un patrimonio immenso e non un regalo”.