L'Editoriale
Fatevene una ragione: criticare è un dovere
Tutti vogliamo la salvezza del Pistoia Basket, ma questo non significa che giornalisti e appassionati non possano muovere delle considerazioni sull’andamento delle cose. E coach Ramagli deve accettarlo
Il primo editoriale del nuovo anno non poteva che essere dedicato al Pistoia Basket e al delicatissimo momento che sta attraversando il club biancorosso. Ultima piazza in classifica, 3-10 il record vittorie-sconfitte, seconda peggior difesa del campionato (dietro di una spanna a Pesaro che però bilancia con il settimo attacco della Lega) con oltre 90 punti a partita subiti in media, penultimo posto nel rapporto assist/palle perse. Nel mezzo una scelta estiva sconfessata in corso d’opera con il passaggio dal 5+5 al 6+6 e l’ingaggio di Mickell Gladness e diversi problemi davanti agli occhi di tutti come la difficile convivenza dei due Johnson (o il rendimento al di sotto delle attese da parte di entrambi, se preferite), gli alti e i bassi di Patrik Auda e soprattutto un atteggiamento di squadra che spesso non è stato esattamente quello che tutti si aspetterebbero da un team che vuole salvarsi, per usare un eufemismo.
Perché alla fine, di partite vinte da “squadra salvezza”, c’è stata solo quella interna con Brescia. Con una difesa che ha tenuto gli avversari a 70 punti, unica volta sotto una quota per cui la OriOra possa ragionevolmente pensare di poter vincere in considerazione di un attacco che produce 78.8 punti a partita (dato da sottostimare al ribasso al netto dei numerosi garbage time). L’altra partita in cui il Pistoia Basket è tornato negli spogliatoi con meno di 80 punti è stata quella persa in casa con Trento, un match che al di là della sconfitta si è avvicinato molto al grado d’intensità giusto per poter combinare qualcosa di buono. Per il resto diverse scoppole interne ed esterne (Trieste e Cantù come picchi più bassi) occasioni perse (Pesaro e Torino) e due vittorie atipiche come quelle con Sassari (irripetibile nelle sue modalità) e Reggio Emilia (pescata forse nella giornata più nefasta dell’intera stagione).
In questo quadro poco rassicurante, da più parti si cerca di fare passare il messaggio che chi critica, pubblico o stampa che sia, remi contro. Veramente incomprensibile. Perché gli appunti mossi (ragionati e argomentati, s’intende), che poi spesso altro non sono che semplici richieste di chiarimenti, sono d’obbligo. E da nessuna parte del mondo, pur con tutte le attenuanti del caso, si è vista una squadra ultima in classifica non criticata. In questo coach Ramagli e gli strenui difensori del timoniere livornese dovranno farsene una ragione: è lecito e doveroso che vengano chiesti lumi sul rendimento dei due giocatori più costosi del roster; esplorare e ponderare eventuali cambiamenti; interrogarsi sul perché, dopo 5 mesi di lavoro in gruppo, questa squadra non riesca a difendere come si converrebbe a un gruppo che proprio sulla difesa dovrebbe provare a costruire le sue fortune; chiedersi perché spesso e volentieri manchi la “garra” giusta.
La retorica della grande famiglia, per quanto in linea di massima giusta, declinata in maniera totalizzante lascia il tempo che trova: tutti vogliamo che la squadra si salvi, ma il dovere del giornalista è dire sempre le cose come stanno e diritto del tifoso (possibilmente pagante, perché qualcuno ha perso la via del PalaCarrara ma non quella dei social) è esprimere il proprio pensiero. E sinceramente quello pistoiese appare tutto fuorché un’ambiente dove non si può lavorare con serenità: i media pungono il minimo indispensabile, la città è sempre tranquilla e le rimostranze dei supporter sono appunto confinate all’etere e a qualche fischio al palazzo. Davvero Alessandro Ramagli non ha trovato ambienti peggiori nella sua pluriennale esperienza da allenatore? Perché altrimenti ci viene da pensare che al cinema qualche domenica ci sia andato lui, anziché il pubblico di fede biancorossa.
Non si tratta di pretendere la luna: (quasi) tutti gli sportivi biancorossi sanno che prima o poi ci sarà da fare i conti con una retrocessione. Semplicemente perché la Serie A1 è sempre più ricca e il Pistoia Basket è palesemente un pesce fuor d’acqua. E se la stagione buona, se così si può dire, sarà questa, dubitiamo che qualcuno verrà fucilato in Piazza del Duomo in quanto “colpevole”. Ma è lecito e doveroso chiedere di sparare, questa volta sì, tutte le cartucce a disposizione per tentare l’ennesima impresa. Di pretendere un addio, se addio dovrà essere, a testa alta e senza rimpianti. E soprattutto di vedere una squadra che lotta con le unghie e con i denti su ogni singolo pallone di ogni singolo possesso dal primo al quarantesimo. Se poi gli altri risulteranno più forti, pazienza. Quel che conta è poter tornare ad affermare con forza e orgoglio che “A Pistoia non puoi vincere, al massimo puoi segnare più noi”. A partire da domenica prossima con Varese.