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Basket / Serie A

Dopo Pistoia Basket-Venezia, l’attacco ha fretta e la difesa non morde

Palloni recuperati, contropiede, mordente in difesa: tutte caratteristiche che il Pistoia Basket ha mostrato in precampionato ma non in Serie A. E l’attacco non va meglio

L’OriOra Pistoia Basket ha steccato completamente il debutto casalingo, crollando sotto le fiammate di una squadra come Venezia, superiore per qualità e numero di giocatori a disposizione. A sorprendere è stato non tanto il risultato finale, ampiamente pronosticabile, quando lo scarto subito e l’incapacità di lottare della squadra biancorossa. Analizzando la partita sono due gli aspetti da porre sotto la lente d’ingrandimento.

Il primo, di carattere generale, riguarda le difficoltà della squadra a mostrare una filosofia di gioco, in particolare quella “garra” ammirata nelle prime amichevoli. Al “Lovari” di Lucca e poi ancora nella trasferta di Siena e contro Udine in casa l’OriOra aveva mostrato una propensione alla difesa che andava a trasformarsi in vantaggi per l’attacco grazie agli aiuti e soprattutto ai tanti palloni sporcati e recuperati.

Queste peculiarità, intraviste contro squadre più deboli e contro avversarie alle prime settimane di lavoro, si sono pian piano perse con il passare degli appuntamenti. Già il torneo a Cividale di Friuli era stato un discreto campanello d’allarme a riguardo, le gare contro Pesaro e Venezia poi hanno confermato questo trend insolito. Come mai la squadra ha smesso di fare quello che sembrava saper fare discretamente, tanto da poterlo pensare come un marchio di fabbrica nel corso della stagione? Una delle cause può essere un calo di quella fiducia che è benzina necessaria per mordere continuamente gli avversari, un’altra chiave di lettura può essere invece trovata in equilibri non ancora stabilizzati, complici i tanti piccoli acciacchi di questa prima parte di stagione che a turno hanno interessato molti dei biancorossi.

A voler indicare negli avversari i problemi si potrebbe asserire che Pesaro e Venezia non erano le squadre più adatte da contrastare con questo sistema, i marchigiani con i loro americani troppo individualisti e dunque spesso propensi ad iniziare e finire le azioni senza troppi giochi o coinvolgimento dei compagni, i veneti invece così rodati e già affiatati nel corposo nucleo reduce dalla passata stagione da avere meccanismi e automatismi tali da andare oltre i tentativi dei biancorossi. Qualsiasi lettura venga data a questa problematica la risposta però può darla solo la squadra, tornando a proporre quel gioco tanto aggressivo quanto combattivo e frizzante che ben si adattava alle abitudini e ai gusti del popolo pistoiese.

A livello di situazione merita invece focalizzarsi sui primi minuti del secondo e del terzo periodo, ovvero quando Pistoia ha provato a ricucire il gap con gli avversari, finendo però ricacciata ulteriormente indietro con parziali che poi si sono rivelati incolmabili. A inizio del secondo periodo Venezia ha strappato la gara con Daye e De Nicolao, mentre Pistoia per reagire non ha creato di sistema, intestardendosi con soluzioni frettolose e mal costruite dai due Johnson.

Stessa cosa nella prima parte del terzo periodo, quando Auda per ben due volte e poi Peak hanno perso palloni sanguinosi complicandosi la vita, mentre dall’altra parte Vidmar spadroneggiava nel pitturato, dominando il duello individuale intrapreso con il lungo ceco di Pistoia. Quando Pistoia ha avuto fretta di risolverla l’ha di fatto persa, un fatto non casuale forse per questa squadra che, identità a parte, ha bisogno oggettivamente di calarsi in una pallacanestro di sistema in cui i singoli esaltino il lavoro del collettivo, piuttosto che di singoli che con lampi estemporanei provino ad accendere il gruppo. Differenza sottile magari, ma che contro Venezia è stata sicuramente una di quelle che alla fine ha pesato di più nell’economia della partita.

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Originario di Montecatini, giornalista, dal 2005 scrive su Il Tirreno e dal 2014 anche per Pistoia Sport. Ama in maniera viscerale lo sport e le sue storie. Nel tempo libero cerca di imitare le gesta sportive dei campioni, con scarsi risultati. Tattico "ad honorem" della redazione.

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