Ciclismo
Chiuse le indagini sul caso Vini Zabù: doping, estorsioni e metodi corruttivi

Il prossimo passo, dopo la chiusura delle indagini da parte della Procura di Pistoia, sarà l’udienza preliminare del 29 settembre
A oltre quattro anni dall’apertura del caso, la Procura di Pistoia ha chiuso le indagini sulla Vini Zabù, team ciclistico professionistico con sede a San Baronto, nel comune di Lamporecchio. E il quadro che è emerso è tutt’altro che limpido: doping sistematico, estorsioni ai danni degli atleti, finte residenze all’estero e licenze professionistiche comprate con metodi corruttivi. L’inchiesta era stata avviata nel 2021 da parte dei carabinieri del Nas di Firenze in seguito alla positività al doping dell’atleta Matteo De Bonis, ma il singolo caso ha poi fatto emergere anche altri elementi che hanno poi portato ad indagini ben più approfondite. In totale sono dieci le persone per cui è stata esercitata l’azione penale, con l’udienza preliminare fissata per il 29 settembre al Tribunale di Pistoia per la richiesta di rinvio a giudizio. Tra di loro anche Angelo Citracca e Luca Scinto, all’epoca rispettivamente team manager e direttore sportivo della Vini Zabù.
Come riferito nel proprio comunicato dal Nas, dalle indagini è emerso un sistema organizzato, in cui atleti senza contratto venivano ingaggiati solo in cambio di pagamenti personali o con la promessa di restituire in futuro una parte dello stipendio: un meccanismo definito dagli inquirenti “paga per correre”. Dopo alcune segnalazioni anonime tramite una piattaforma di whistleblowing, i carabinieri sono riusciti a identificare e ascoltare alcuni atleti, mentre le successive indagini eseguite dal Nas hanno permesso di ottenere elementi di riscontro sulla veridicità delle segnalazioni, rivelando l’esistenza di “un sistema criminoso organizzato dal team al fine di reclutare atleti di minor valore o comunque rimasti per vari motivi senza ingaggio, contrattualizzandoli (attraverso una società di comodo con sede in Irlanda) solo a seguito di corresponsione di grosse somme di denaro, ovvero con l’impegno alla restituzione totale e parziale degli stipendi, sottoponendoli poi alla minaccia di esclusione della attività agonistiche in caso di mancata corresponsione di quanto pattuito”.
“Complessivamente – prosegue la nota – sono dieci le persone per cui è stata esercitata l’azione penale: per le accuse di doping, a carico di sette atleti del Team e uno dei Direttori Sportivi dell’epoca; il presunto coinvolgimento nella pratica del “paga per correre”, a carico di tre indagati, cui contestata l’estorsione in concorso in danno di diversi ciclisti. Va sottolineato che – come del resto già evidenziatosi nel corso di precedenti inchieste portate avanti dalla Federazione Ciclistica Italiana – la pratica del “paga per correre” è considerata in alcuni casi propedeutica al ricorso al doping, aprendo infatti al professionismo nei confronti di soggetti non in possesso delle doti fisiche per competervi, e che quindi per cercare di emularle vengono di fatto costretti a ricorrere all’aiuto farmacologico. Allo stesso tempo però agevola la pratica del “doping finanziario”, aprendo le porte del mondo professionistico e l’accesso alle sponsorizzazioni a compagini sportive prive delle risorse economiche necessarie a corrispondere ingaggi reali ad
atleti di tale livello”.
