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Basket / Serie A

Pistoia Basket, adesso la responsabilità è di tutti

A Pistoia si può smettere di pensare alla gestione Rowan. E tornare in A1 non dovrà essere un obiettivo, ma una conseguenza

Cala il sipario su una stagione amarissima per il Pistoia Basket. Una stagione che ha avuto come più naturale delle conclusioni la prima retrocessione sul campo in ben venticinque anni di storia del club di via Fermi. In sostanza, il momento più drammatico dalla nascita del club biancorosso. In un quarto di secolo ricco di grandi soddisfazioni, le uniche ombre erano fino ad oggi state quelle del 2018/19, quando il fallimento di Torino evitò il primo salto indietro di categoria, e del 2020, nel momento in cui la società arrivò alla difficile decisione di non proseguire in Serie A e di ripartire dal piano di sotto.

Al termine di questo campionato 2024/25, erede orrorifico di uno dei punti più alti raggiunti dalla Pistoia cestistica, resta innanzitutto uno scadentissimo risultato sportivo. 6 vittorie su 30 gare, in una stagione chiusasi con una quota salvezza di 14 punti. Quando, nella storia del massimo campionato, è bastato così poco per mantenere la categoria? Andando indietro e limitandosi alle stagioni con due retrocessioni, si cerca e non si trova. Nel 97/98 la quota fu di 16 punti (andarono giù Pesaro e Reggio Calabria), così come nel 94/95 (Reggio Emilia e Montecatini) e nell’89/90 (ancora i termali e Desio). Unica eccezione la stagione 95/96, con l’Aresium Milano e Trieste che chiusero rispettivamente a 10 e 12 punti, ma solo i meneghini scesero in A2. Ci sono certo colpe evidenti di Pistoia (e Scafati), ma anche elementi di preoccupazione per il basket italiano.

PASSARE AL DOPO-ROWAN

Rimanendo però all’affossante stagione di Pistoia, essa passerà alla storia come “la grande illusione”. È bastato un personaggio come Ron Rowan, con i diversi coni d’ombra che ha lasciato e probabilmente lascerà su questa sua avventura da presidente, a rompere l’incanto. E, si permetta l’aggiunta, anche per ri-evidenziare lo stato “di salute” del basket italiano, con questa telenovela che è andata avanti per mesi senza che nessuno, a livello federale, pensasse di dover fare un minimo controllo. Il tutto nonostante una lista di fatti avvenuti alla luce del sole già nelle prime settimane di regular season. E, anche per questo, la “captatio benevolentiae” messa in scena da diversi elementi della società ha rappresentato una doppia delusione, al netto delle oggettive difficoltà nel dover interagire con cotanto superiore.

Ron Rowan è stato, in questi pochi mesi da presidente, un tiranno, un folle, un padre fin troppo riverente nei confronti del figlio, un approfittatore, un baro, un pessimo bugiardo, uno sprovveduto, un traditore, un goffo businessman e infine un fuggitivo. Un ritratto così complesso e rarefatto che solo un grandissimo autore letterario riuscirebbe a riportare (rendendogli giustizia) su carta. Chi veramente fosse e quali fossero le sue reali intenzioni non lo sapremo mai. E, a questo punto, non è neanche più importante. Anche perché sono praticamente passati più di due mesi dall’uscita di scena dell’ormai ex idolo dei tempi dell’Olimpia. Due mesi dove, per lanciare strali verso colui che rimane il principale responsabile di questo disastro, di tempo ce n’è stato e abbondante. Il passato recente, insomma, inizia a non essere abbastanza per coloro a cui interessa sapere che ne sarà del Pistoia Basket. Al massimo, si potrà imparare molto da questa stagione.

E la lezione non dovrà certo essere che non si forma una squadra prima di averne individuato l’allenatore, o che non la si costruisce con lo scopo di far risaltare un unico giocatore. Non si dovrà, questa è la speranza, spiegare a nessun altro che presidente, direttore sportivo e allenatore sono ruoli che deve ricoprire chi ne ha competenza e che, proprio per questo, vanno rispettati. Così come dovranno essere pleonastiche quelle regole base su come si costruisce una squadra in grado di competere e se ne decidono eventuali aggiustamenti. Questo per dire, infine, che Pistoia non ritornerà mai nel massimo campionato se si crederà davvero che il problema, nel complesso, siano state solo le decisioni di Ron Rowan. O si continuerà ad usarle come specchietto per le allodole.

PISTOIA, UN NUOVO INIZIO

Perché la Pistoia dove gli americani hanno deciso (in modo fin troppo inconsapevole) di investire è una realtà cestistica appassionata ed entusiasta, ma ancora carente a livello di strutture e di richiamo. E soprattutto gravata da un’ormai imponente situazione debitoria, di gran lunga superiore a quella che costrinse alla succitata autoretrocessione. E soprattutto non dovuta alla gestione Rowan. Attendendo di capire come si potrà concretizzare il piano di rientro, una nuova ripartenza dall’A2, contenendo i costi, potrà senza dubbio aiutare nel tenere a bada questa spada di Damocle, ma rappresenterà comunque un test probante. In primis sulla passione della piazza, che sarà di nuovo testata in un contesto meno prestigioso, con la speranza di non tornare ai desolanti numeri del 21/22 e di gran parte del 22/23. In seconda istanza, il club biancorosso si ritroverà in un’A2 decisamente più competitiva, con diverse squadre che, anche l’anno prossimo, saranno costruite per il massimo traguardo.

Ma se risultati e pubblico potrebbero anche essere legati da un principio di causa-effetto e non possono certo essere previsti adesso, tutto il resto andrà deciso e programmato. Innanzitutto se si potrà e si vorrà dare un minimo di continuità all’interno dei settori dirigenziale, tecnico e sportivo. Intanto l’addio di Marco Sambugaro ha già messo la piazza dinanzi a quella che potrebbe essere una vera e propria rifondazione. In attesa di capire se ci saranno altre partenze pesanti per i cuori biancorossi, sbagliare i nuovi profili potrebbe rappresentare lo strappo definitivo tra i tifosi e l’attuale proprietà, con gli sforzi del presidente Joe David che verrebbero vanificati in partenza. Il nuovo numero uno della società è stato il discreto ma decisivo protagonista di questo finale di stagione: dietro la sua figura si sono riunite le due anime che ruotavano attorno al club, con i soci della East Coast Sport Group da una parte e la dirigenza italiana dall’altra. Adesso viene il bello e al contempo il brutto, ossia il momento delle decisioni pesanti e fondanti. Anche se David non potrà essere lasciato da solo e mal consigliato.

Perché un altro errore da non fare sarà pensare che il progetto sia solo tornare in A1, cosa che dovrà essere invece conseguenza di quanto verrà fatto nei prossimi anni (sì, anni). Pistoia ha bisogno di un progetto a lungo termine, sostenibile e aperto a nuove soluzioni che possano portare ulteriori risorse da potenziali investitori. Un progetto che preveda la partecipazione attiva di sponsor, portatori d’interesse ed istituzioni per supportare e facilitare il percorso di crescita. Il quale dovrà passare anche da una vera analisi sulle potenzialità del PalaCarrara e del futuro PalaMaltinti, ma anche di altri impianti indoor e outdoor che rappresentano (anch’essi) il termometro atto a misurare la passione della città per uno sport. Bisognerà concentrarsi anche su queste cose e tante altre, con un principio cardine da tenere sempre a mente: adesso il Pistoia Basket è responsabilità di tutti.

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