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Amarcord

Pistoiese, 30 anni fa la promozione in B. Pagotto: «Giornata che porto dentro con orgoglio»

nella foto il momento del rigore di Bottazzi (foto PistoiaSport)

Ricordi e aneddoti di uno dei protagonisti assoluti dello spareggio promozione per la B: «Sono tornato alla Pistoiese per restituire una piccola parte di ciò che questa città ha dato a me»

Bottazzi si presenta sul dischetto. Mani sui fianchi, il numero 10 del Fiorenzuola attende il fischio dell’arbitro con lo sguardo fisso davanti a sé. Sono attimi sospesi, quasi irreali. Il sole del tardo pomeriggio taglia in due lo stadio Renato Dall’Ara. L’aria è densa, carica, come se tutto il tempo si fosse fermato. Arriva il fischio. Rincorsa. Tiro. Traversa! Dalla curva San Luca si alza un boato che squarcia il cielo di Bologna: è l’esplosione del popolo arancione, oltre ottomila cuori in viaggio da Pistoia per scrivere la storia. La Pistoiese è in Serie B. Dopo undici anni d’attesa, dopo un campionato dominato da altri, dopo una finale giocata con l’anima e con un uomo in meno, gli arancioni ce l’hanno fatta.

Era il 25 giugno 1995. Esattamente trent’anni fa. Oggi, a tre decenni di distanza, quella partita è ancora una ferita dolce nel cuore di chi c’era. Un ricordo scolpito nella memoria collettiva, fatto di sudore, orgoglio e unione. E in mezzo a tutto questo, tra i pali della Pistoiese, c’era un ragazzo che parava tutto: Angelo Pagotto: «C’era una muraglia incredibile di tifosi pistoiesi che sono venuti a tifare la squadra — ricorda Pagotto — ed era un peccato non vincere una partita così importante, che ci ha dato grandi soddisfazioni e tanto entusiasmo. Ancora oggi me la ricordo sempre con grande piacere. Mi rende orgoglioso».

Un muro umano di passione, un’intera città in marcia verso la gloria. E per chi era in campo, la responsabilità era enorme, ma anche la spinta decisiva per superare tutto. Il successo della Pistoiese, infatti, non fu solo questione di talento. Fu il frutto di un’unione profonda, costruita giorno dopo giorno, anche — e soprattutto — nelle difficoltà: «La squadra – ha raccontato Pagotto – si è compattata durante l’anno nonostante le grandi difficoltà. C’erano problemi societari, non sapevamo se a fine mese saremmo stati pagati. Ma avevamo creato una famiglia: giovani e “vecchi” uniti, una sinergia reale. Ognuno dava il massimo per aiutare l’altro. E il mister fu eccezionale, un vero collante. Chiunque ci avesse affrontato, in quel momento, avrebbe perso. Perché noi non mollavamo mai: centimetro dopo centimetro».

Poi venne la lotteria dei rigori. Ma Pagotto non la vide mai come una roulette. Piuttosto, come un gioco mentale, dove contava più la testa che i piedi. Parò infatti il primo rigore a bomber Clementi, poi quella traversa che fece esplodere il Dall’Ara: «L’inizio è determinante – ha spiegato l’ex portiere arancione -. Se riesci a parare il primo, prendi in mano la serie psicologicamente. L’altra squadra si innervosisce. Bottazzi (nell’ultimo rigore nda), nel cercare di segnare, ha allargato troppo il tiro e ha colpito l’incrocio. Ho sempre pensato che partire bene ti permette di portare a casa il risultato. Infatti, ogni volta che ho parato il primo rigore, alla fine ho sempre vinto»

Pagotto oggi è tornato a Pistoia. Lo ha fatto in silenzio, senza riflettori, per restituire qualcosa a chi gli ha dato tanto. Non più in porta, ma a bordo campo, lavorando con i giovani come preparatore dei portieri: «Devo dire grazie a questa piazza che mi ha dato tanto – ha sottolineato -. Sono tornato proprio per quello: restituire una piccola parte di ciò che questa città ha dato a me. Voglio ricominciare dalle giovanili per dare il mio contributo e costruire un settore giovanile forte. Ragazzi, e soprattutto portieri forti».

Ma il ricordo più vivo, più umano, è quello del gruppo. Della quotidianità condivisa, dentro e fuori dal campo: «Ero legato un po’ a tutti. Sono rimasto nella zona di Firenze, quindi con Bellini e Gutili ogni tanto ci vediamo. Aneddoti? Tantissimi. Alla fine di ogni partita – sorride Pagotto – ci trovavamo tutti per andare — come diceva Bellini — a fare delle sgranate. Poi i più giovani tornavano a casa, e gli altri andavano a ballare. Era questa la nostra forza. Oggi un po’ manca: si vive meno il quotidiano di squadra. Adesso le rose sono composte da 24 giocatori, mentre prima eravamo in meno e ascoltavamo i più esperti. Oggi c’è più anarchia: bastano due presenze e già si pensa di sapere tutto. Ma alla fine sono i “vecchi” che ti indicano la strada giusta».

E in tutto questo, un posto speciale nel cuore di Pagotto lo ha Roberto Clagluna. Il “Clag”, il gentiluomo della panchina, scomparso nel 2003, ma presente in ogni ricordo di quella stagione: «Era una persona eccezionale e ci manca tanto. Anche nei momenti difficili riusciva a farci ridere, a creare quell’alchimia che ti faceva dimenticare il peso delle difficoltà. Sapeva stare con noi, nel bene e nel male».

Pagotto chiude con un pensiero per i tifosi, per la città, per la squadra che oggi guarda avanti e sogna di tornare in alto: «Sento di dire ai tifosi che dobbiamo stare vicini alla squadra. La società è forte, e magari porterà bene questo anniversario dei 30 anni da quella promozione. Sono molto convinto che la Pistoiese tornerà dove merita di stare».

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Da sempre pretoriano della tribuna del “Melani”, ama il calcio e crede ancora che una palla a scacchi bianchi e neri possa dettare i versi della poesia d’amore più bella del mondo. Anima blucerchiata e al tempo stesso profondo conoscitore di tutto ciò che ruota intorno all’Olandesina, è a Pistoia Sport dal 2019 dove si diverte un mondo insieme a tanti giovani penne del giornalismo pistoiese.

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