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Calcio / Seconda Categoria

Montagna Pistoiese ASD, palestra d’accoglienza in Seconda Categoria

Da sinistra, Bakari Jabang, Fataou Somahla e Sheriffo Sanno

La storia di Bakari Jabang, Fataou Somahla e Sheriffo Sanno, ragazzi migranti che grazie alla Montagna Pistoiese sono riusciti a riscattare un passato difficile

La calma di un mercoledì sera d’autunno, la brezza gelida che sale non appena il sole cala sotto l’orizzonte. I ragazzi della scuola calcio hanno appena finito di preparare il borsone e piano piano si apprestano a lasciare il campo sportivo. A San Marcello ci si allena. In campo ci sono le casacche azzurre della Montagna Pistoiese ASD, società militante nel campionato di Seconda Categoria (Girone B). 

La prima parte di stagione non è stata facile: la partenza negativa in Coppa, il pari all’esordio in campionato e i due ko che sono seguiti. Scarsa la vena realizzativa, fragile l’amalgama. A cambiare le cose c’ha pensato Bakari Jabang, attaccante gambiano classe ’98, in Italia dal 2016: con un gol ha deciso la vittoria esterna contro il San Niccolò, andando a segno anche la domenica successiva nel successo casalingo contro Spedalino Le Querci. É per lui che sono qui.

Bakary non è però l’unico ragazzo migrante in squadra: ci sono anche il centrale di difesa del ’94 Fataou Somahla, nativo del Togo, e il centrocampista classe ’97 Sheriffo Sanno, gambiano come Bakari.

Tre ragazzi che grazie alla Montagna Pistoiese sono riusciti a riscattare il loro passato, guadagnando il permesso di soggiorno e la possibilità di lavorare. Tutti e tre sono regolarmente occupati e vivono in case private a loro spese: due piani di un condominio di Maresca separano l’appartamento di Fataou da quello di Bakari e Sheriffo. Il primo è parrucchiere, gli altri due operai metallurgici.

Dei tre mi colpisce subito la positività e il sorriso stampato sulle labbra: «Dopo tutto ciò che abbiamo passato – mi dice Bakari, alludendo al lungo viaggio che dal Gambia lo ha portato in Libia e poi in Italia, a Palermo – non dobbiamo essere negativi ma guardare avanti». «In Africa siamo così – prosegue Fataou, il più spigliato del gruppo – Anche se uno sta male ti dirà sempre che sta bene. Se dici ad un tuo caro di star male anche lui starà male di conseguenza, per questo sorridiamo sempre».

Lasciando il loro paese non si sono lasciati alle spalle soltanto la dittatura e la corruzione, ma anche gli affetti più cari. Non possono e non vogliono parlare nei dettagli del loro viaggio, troppo il dolore e la delicatezza di certi avvenimenti: «In Togo ero insegnante di educazione fisica in un collegio – mi dice Fataou – Sono fuggito dalla dittatura. Gli oppositori politici vengono uccisi o incarcerati senza una ragione precisa».

«Il mio viaggio? Porca miseria! – prosegue – Il viaggio più lungo e più pericoloso del mondo: non lo auguro a nessuno. Sulla strada può succedere davvero di tutto. Dal Togo sono passato in Ghana, quindi in Burkina Faso e in Niger dove ho trascorso cinque giorni nel deserto prima di raggiungere la Libia: qui ho speso un mese nascosto per evitare di essere rapito, quindi ho preso la via del mare. Quando il barcone è andato in avaria ho temuto il peggio, ma fortunatamente una nave è riuscita a salvarci».

Decisivo per ognuno di loro lo sbarco in Italia: «Quando sono arrivato in Italia, a Brindisi, il 14 settembre 2016, stavo malissimo – mi racconta Fataou – eppure avevo una grande sorriso stampato sulle labbra: una data che non potrò mai dimenticare».

Una volta nel nostro paese Fataou è stato trasferito subito all’Abetone, presso la locale Misericordia: «Pensavo che mi avrebbero portato a Roma: arrivare quassù è stata una vera sorpresa – mi confessa, sorridendo – Dalla Misericordia sono passato presso la cooperativa Gli Altri, trasferendomi a Pruneta e da lì a Mammiano». Il Cara di Mineo è stato invece la prima destinazione italiana di Bakari e Sheriffo, giunti sulla penisola con due navi diverse ma lo stesso giorno, il 14 aprile 2016, e nello stesso porto, Palermo. «Dopo un mese al Cara di Mineo ci hanno trasferiti a Pistoia – mi spiega Sheriffo – dunque a San Mommè e da lì a Lizzano».

Fondamentale per il loro percorso d’integrazione il provino sostenuto nel 2017 con la Montagna Pistoiese, società che gli ha dato la stabilità e il sostegno necessari per avviare la loro attività lavorativa e conseguire il permesso di soggiorno: «Dobbiamo tutto a questa società – mi spiega Bakari – Senza di loro non avremmo mai potuto trovare lavoro». Non facile, invece, il loro inserimento in squadra: «Abbiamo faticato molto per poter giocare con continuità – prosegue Bakari – Il lavoro e l’esperienza ci hanno fatto crescere e adesso giochiamo titolari».

Tra i tre, quello più in evidenza è sicuramente Bakari, autore di 18 reti lo scorso anno. In questa stagione tante occasioni create, vari gol realizzati ma anche qualche errore di troppo sotto porta: «Succede anche ai migliori – commenta sorridendo l’attaccante gambiano, mostrando già un piglio da calciatore professionista – in modo particolare a chi, come me, trova spesso la porta. L’importante è imparare dai propri errori e migliorare».

Sul loro futuro, sembrano avere le idee molto chiare: «Vogliamo rimanere in Italia – mi dicono Bakari e Sheriffo – Questo paese ci ha dato tanto e vorremmo poter ricambiare in qualche modo». Commoventi le parole semplici e sincere di Fataou: «Se posso fare qualcosa per rendere felici gli italiani, lo farò. Vorrei tanto riuscire ad insegnare ancora educazione fisica nelle scuole o a chiunque abbia bisogno: vivere di calcio e insegnamento».

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Studente di Beni Culturali all'Università di Firenze, amante del calcio e dello sport in generale. Scrivere è una passione e un gioco, la domenica allo stadio un vizio che non ha il coraggio di togliersi.

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