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Basket

Raffaele Romano, maestro di basket per generazioni

Lorenzo Mei ricorda Raffaele “Raffa” Romano, maestro di pallacanestro e di vita per generazioni nella sua Montecatini

di Lorenzo Mei

Il pavimento della palestra vecchia di Viale Leonardo Da Vinci, quello che oggi si chiama Palabellandi, prima di avere il parquet era coperto da un materiale sintetico verde, con le righe bianche. Prima ancora in terra c’era una specie di linoleum marroncino e rosso scuro, che chissà di che colore era quando lo avevano steso. Ecco, la prima volta che ho visto da vicino Raffaele Romano, Raffa, calpestavo quel pavimento liso, che sembrava sfarinarsi a ogni passo, a ogni arresto e tiro, a ogni terzo tempo.

Probabilmente era il 1979 o il 1980, ero al mio primo corso di minibasket. Mi allenava Giorgio Ottaviani, nel turno del tardo pomeriggio. A un certo punto arrivò Raffa con addosso una maglietta rossa, con un grande marchio dell’Adidas, e si avvicinò a Ottaviani, che era un suo compagno nella prima squadra dello Sporting Club e che gli disse: “Eppure quella maglietta mi sembra di conoscerla”. E Raffa subito rispose: “Certo, te l’ho fregata ieri nello spogliatoio, visto come mi sta bene?”.

Non so perché mi sia rimasto in testa questo episodio di quarant’anni fa, che in fondo è una delle mille volte in cui ho incontrato Raffa nella mia vita, ma forse è perché già da quei pochi secondi, anche un bambino di nove anni avrebbe potuto capire il carattere di una persona che era un concentrato di bontà, simpatia e intelligenza.

Per me allora era anche una specie di mito, perché in un’epoca in cui non c’era ancora il tiro da tre punti, vederlo caricare quel suo tiro da lontano così preciso e così bello, era un vero spettacolo, considerando che la palla spesso finiva nella retina.

Quando la Panapesca fece i primi campionati di Serie B, con i miei genitori andammo diverse volte a vederlo nel Massa e Cozzile, dove si era trasferito: in poco tempo era riuscito a infiammare anche quella tribunetta alta, una specie di ballatoio sul campo arancione, da cui rimbombava il coro “Raffa, Raffa, Raffa”

Era stato il primo istruttore di minibasket di mio fratello, che ha due anni meno di me ed era nel primo turno del pomeriggio. I gruppi erano divisi in due fasce orarie, e in ognuna c’erano istruttori per una metà campo. A dividere il rettangolo con Raffa quell’anno c’era nientemeno che Massimo Masini, una specie di marziano appena tornato dalle nostre parti dopo una carriera strepitosa come giocatore.

Chiunque si sia anche solo avvicinato al basket giovanile negli ultimi quattro decenni, a Montecatini, sa che Raffaele Romano è uno dei migliori insegnanti di pallacanestro mai stati qui. Le sue doti sono state riconosciute da tutti gli allenatori professionisti che sono passati dallo Sporting Club e dalle sue successive incarnazioni.

Conosceva benissimo il gioco, aveva una dimestichezza assoluta con i fondamentali, e sapeva trasmettere la sua conoscenza ai ragazzi. Ma non c’era solo questo, perché questo lo sanno fare tanti bravi istruttori su tantissimi campi e campetti. Il fatto è che a Raffa i ragazzi volevano bene, un bene dell’anima, e non per caso, non perché lui avesse qualche abilità nel farsi piacere. Era semplicemente una questione di reciprocità: lui voleva bene a loro, che se ne accorgevano e ricambiavano. 

Per questo oggi le lacrime che si versano a Montecatini e dintorni sono talmente tante che è impossibile misurarle. Quelle dei familiari, naturalmente, degli amici più stretti, dei tanti che hanno collaborato con lui nel lavoro e nello sport (è stato spesso nello staff tecnico della prima squadra, anche se il suo amore vero sono sempre state le giovanili), ma anche quelle di chi l’ha incrociato a vario titolo nella vita, assaporando il suo sorriso buono, il suo spirito sornione, le sue battute. Quelli che hanno camminato con lui sul campo da golf, quelli che condividevano con lui l’amore per il mare.

Non faccio una lista degli amici comuni che stamattina sono rimasti gelati dalla notizia della sua morte, a 61 anni, dopo una lunga lotta con il Covid-19, e che nelle ultime settimane avevano trovato speranza nella catena di messaggi che ci arrivavano sul telefonino, e che avevano registrato i miglioramenti quotidiani, piccoli ma significativi.

Non faccio la lista perché sarebbe troppo lunga, e perché lascerei fuori qualcuno che gli era legatissimo, anche se mentre scrivo mi vengono in mente tante facce e provo un dolore immenso pensando a quello che staranno provando in queste ore. Cito solo i figli Riccardo e Roberto, la moglie Simonetta, la mamma Nada, la sorella Rita, la nuora Valeria e il nipotino Rodolfo, che aveva avuto in eredità il nome dal nonno. A loro porto l’abbraccio di tutti.

Provo a ricordarmi l’ultima volta che l’ho visto, ma non riesco a mettere a fuoco, a dare una data a quel saluto che gli rivolgevo sempre: “Grande Raffa”. Come se fossimo alla pari, come se io e lui fossimo due che hanno fatto parte, in modo diverso, dello stesso ambiente della pallacanestro rossoblù. In realtà lui era un pezzo di storia e di cuore di quella pallacanestro, io un ragazzino delle giovanili, poi un tifoso, poi un giornalista, poi un nostalgico. Ma sempre, in tutti questi anni e in tutti questi cambiamenti, uno suo grande ammiratore. Ciao, grande Raffa.

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La redazione di Pistoia Sport è composta da un manipolo di valorosi giornalisti e giornaliste che provano a raccontarvi le vicende della Pistoia sportiva e non solo con lo stesso amore con cui le nonne parlano dei nipoti dalla parrucchiera.

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