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Calcio / Serie D

Gli albori dell’Us Pistoiese: il ricordo dell’ex sindaco Renzo Berti

Condividiamo il ricordo di Renzo Berti sulle origini dell’Us Pistoiese, tratto da un capitolo del suo libro “Tra il dire e il fare”

Capitolo estratto dal libro Tra il dire e il fare

Allarme rosso per gli arancioni
 
Da appassionato di calcio ho sempre seguito con attenzione le vicende della A.C. Pistoiese. E così, eletto sindaco, ho subito avvertito lo scoramento che si era prodotto in città per la sua retrocessione, a maggio 2002, dalla serie B alla C1.
Il clima era caldo, vuoi per il conflitto dell’amaro presente con la memoria ancora viva dei fastosi trascorsi in serie A, vuoi per la scarsa popolarità tra i supporters arancioni del presidente Bozzi che, con la sua tipica ruvidezza, li aveva persino invitati a restare a casa anziché recarsi allo stadio. E quindi, quando circa un anno dopo l’imprenditore Anselmo Fagni mi partecipò il suo interessamento, condito da solidi propositi, fui ben contento di metterlo in contatto con la proprietà affinché potessero verificare le condizioni per un passaggio di mano. Ricordo ancora l’incontro a Larciano, nella sede della sua azienda, a cui partecipai insieme a Luca e a Piero.

Un paio d’ore di colloqui incrociati che però si risolsero in un nulla di fatto. Ma a qualcosa era servito, visto che poi, a distanza di alcuni mesi, l’intesa si materializzò ed Anselmo e la sua bella e larga famiglia subentrarono nella gestione. Quattro anni di conduzione seria ed appassionata, a cui sul piano sportivo corrispose però un andamento piuttosto torpido, con il 6° posto in C1 nella stagione 2004-5 come massimo risultato. Nel novembre di quello stesso anno Anselmo morì ed il figlio Maurizio gli subentrò alla presidenza della Pistoiese che mantenne, con impegno e genuina passione a cui sempre più si associavano però la preoccupazione per i crescenti sforzi economici e la delusione per la mancanza di risultati importanti.

Furono questi i presupposti che, unitamente alla pressione dell’ambiente familiare, lo portarono nel 2007 a cedere la società, che venne acquistata dagli imprenditori Braccialini. La città, pur riconoscente ai Fagni per lo sforzo compiuto, accolse con calore l’intraprendenza di questi concittadini che corrisposero subito alle attese esplicitando una doppia ambizione:  tornare al più presto in serie B e realizzare un nuovo stadio al campo di volo. Ricordo che quando lessi sulla stampa queste dichiarazioni, rimasi perplesso. Dichiarare l’obiettivo di un’immediata vittoria del campionato poteva sì galvanizzare l’ambiente ma poi, se le cose non vanno bene, può diventare un boomerang molto velenoso.

E poi, l’idea di un nuovo stadio al campo di volo era una boutade totale, concepita al di fuori di ogni conformità urbanistica ed a prescindere da qualsivoglia interlocuzione con l’Amministrazione. Insomma, non mi pareva il segno di una bella partenza. Ed i fatti mi dettero purtroppo ragione. Altro che promozione! Nel primo campionato acciuffammo la salvezza all’ultimo tuffo (vittoria ai play out), ma la retrocessione in C2 arrivò l’anno successivo, nella primavera del 2009. Erano giorni di grande sconcerto tra gli appassionati, gran parte dei quali vedevano nei Braccialini i principali artefici di questa Caporetto, che aveva collocato la gloriosa Pistoiese sull’umiliante ultimo gradino del calcio professionistico. E la stampa locale si faceva portavoce di questo risentimento.

Massimiliano Braccialini pensò allora, come si suol dire, di levare l’olio dai fiaschi, dichiarando pubblicamente la sua determinazione a cedere la società che comunque non avrebbe iscritto al campionato successivo. Ne venne fuori un pandemonio, che mescolava rabbia e delusione e mi convinse della necessità di un mio primo intervento. Rivolsi pertanto un appello all’Associazione industriali e al sistema imprenditoriale locale affinché si impegnassero per salvare la squadra. Ne scaturirono alcuni incontri: tante facce, molte belle parole, ma pochissime disponibilità concrete. Nel frattempo i Braccialini facevano però riservatamente le loro mosse e a metà giugno annunciarono di aver realizzato un’intesa per la cessione della società all’imprenditore bolognese Roberto Bortolotti.

Venni avvertito al telefono da Luca che in qualità di commercialista aveva seguito da vicino la trattativa e che mi mise in contatto con il neo presidente affinché potessimo incontrarci e conoscerci. La cosa accadde il 24 giugno. Non seppi in quella circostanza, né mai dopo, non solo le modalità del subentro (correva voce al prezzo di 1 euro, accollandosi debiti e crediti) ma neppure le dinamiche che avevano portato all’interessamento di questo soggetto proveniente da un’altra Regione. In quei giorni ci furono alcune indiscrezioni giornalistiche circa la sua intenzione di aprire una sede della sua attività a Pistoia, e precisamente nell’area Pallavicini, ma per quanto ci risultava era una voce priva di fondamento. L’impressione che ebbi nel conoscerlo, non fu tuttavia negativa. Forse per la stazza imponente, forse per la tipica cordialità emiliana, Bortolotti sembrava animato da sinceri e buoni propositi.

E così venne salutato dalla stampa. Ma dopo pochi giorni accadde la prima cosa strana. C’erano gli stipendi arretrati da pagare, condizione preliminare alla nuova iscrizione, e una fidejussione da presentare e Bortolotti si rivolse a me affinché intercedessi in suo favore presso le banche locali. Ne rimasi sconcertato e glielo dissi. Com’era possibile che avesse acquistato la società senza essere in grado di far fronte a questi primissimi e scontati adempimenti? Com’era che si rivolgeva al credito pistoiese anziché a quello del territorio in cui abitualmente operava? Domande che rimasero senz’altra risposta che quella di un affanno che cresceva col trascorrere dei giorni.

Arrivammo così ai primi di luglio quando la Federazione Gioco Calcio bocciò la domanda d’iscrizione al campionato di C2 della A.C. Pistoiese per l’irregolarità della fidejussione, pare rilasciata da una sconosciuta banca avente sede oltremanica. Bortolotti reagì con vigore, dichiarò la propria indignazione e il proposito di un immediato ricorso che però, una decina di giorni  dopo, venne anch’esso respinto. La Pistoiese stava quindi precipitando, non solo nel purgatorio del calcio dilettantistico, ma forse persino nel burrone senza fine della sua definitiva scomparsa. Era allarme rosso per le casacche arancioni ed il Comune non poteva girare la testa da un’altra parte. Se ne sentivano di tutti i colori e circolavano i nomi di tanti improbabili salvatori.

Tant’è che in quei giorni ricevetti la strana visita di un’abbronzatissima coppia di uomini d’affari napoletani che, con fare minaccioso, catene al collo e mocassini dorati, mi spiegarono di essere pronti a prendere le redini della Pistoiese a condizione che trovassi io i 100.000 euro necessari. In caso contrario avrebbero spiegato urbi et orbi che sarebbe stata tutta e soltanto mia la colpa della cancellazione di Pistoia dal calcio che conta. Feci presto a metterli alla porta, ma ero sempre più consapevole dello scenario sciagurato in cui eravamo finiti. Decisi allora di tentare l’ultima carta, dando pubblicamente a Bortolotti & C. l’ultimatum di iscrivere in tempo utile, ovvero nello spazio di pochi giorni, la squadra almeno al campionato dilettanti. In caso contrario avrei proceduto alla costituzione di una nuova società.

E così andò. Bortolotti e mocassini dorati uscirono di scena rapidamente così come vi erano entrati, Braccialini di nuovo al centro di mille polemiche si sbracciò a sostenere l’insostenibile, mentre io insieme ad altri 4 capitani coraggiosi costituimmo di corsa l’US Pistoiese 1921, tirando fuori ognuno di noi il capitale minimo necessario per lo start up, nell’attesa che qualche esponente del mondo imprenditoriale si rendesse effettivamente disponibile a subentrare. Le risposte non furono molte ma comunque sufficienti a consentire una ripartenza fondata sulla serietà, sulla trasparenza e sull’onestà dei comportamenti. Il mondo del calcio, come anche questa grottesca vicenda ha dimostrato, è infatti popolato da troppi avventurieri. Ed una città che vuole credere nello sport pulito, palestra non solo di agonismo ma di socializzazione, deve sbarazzarsene.

La squadra venne messa su in quattro e quattr’otto, sfruttando soprattutto il richiamo del suo blasone. Fabio si fece carico di presiederla in quel primo anno nel quale partecipammo al campionato di Eccellenza sfiorando, ahimè soltanto, la promozione, ma creando le premesse per quel positivo sviluppo che almeno in parte è avvenuto, visto che l’anno successivo la Pistoiese ha finalmente conquistato la promozione in serie D.

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La redazione di Pistoia Sport è composta da un manipolo di valorosi giornalisti e giornaliste che provano a raccontarvi le vicende della Pistoia sportiva e non solo con lo stesso amore con cui le nonne parlano dei nipoti dalla parrucchiera.

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